Il Konstantin Chaykin Quartime sembra, a un primo sguardo, un orologio classico: cassa rotonda in oro rosa da 40 millimetri, anse saldate, quadrante argentato inciso a guilloché e vetro zaffiro lievemente bombato. Poi lo si osserva davvero, e ci si rende conto che nulla corrisponde alle consuetudini. Sul quadrante non compaiono dodici indici fissi; ce ne sono soltanto sei, disposti in piccole finestre contornate d’oro che mutano quattro volte al giorno. Una minuscola apertura alle sei indica la parte del giorno in corso: morning, day, evening oppure night. È il momento in cui si intuisce l’idea visionaria di Konstantin Chaykin: un sistema di “ore russe” che abbandona la divisione a.m./p.m. per seguire il ritmo naturale del mattino, del pomeriggio, del crepuscolo e delle ore notturne. Quando l’ora segna la soglia di un nuovo quadrante di vita, gli indici cambiano d’un colpo, la finestrella ruota e il tempo riparte sotto una luce diversa.

Al centro, l’unica lancetta delle ore compie il giro completo in sei ore, mentre quella dei minuti mantiene la velocità consueta. Il risultato somiglia a un ibrido di analogico e digitale: il fascino del movimento continuo si unisce alla precisione di una scala che scatta come un display a cifre saltanti, ma lo fa in silenzio, senza strappi, grazie a un programma di ruote e leve progettato ad hoc. Tutto nasce dal calibro K.01‑3, sviluppato e costruito in house. Il movimento, visibile attraverso il fondello in vetro, adotta un grande tre‑quarti decorato a Côtes de Genève, impreziosito da quattro chaton d’oro e da una minuscola placca con il logo della Manifattura. Spicca il regolatore “Pac‑Man”, una vite di regolazione che Chaykin ha inventato all’inizio della sua carriera e che permette una messa a punto millimetrica dell’oscillatore. Il bilanciere oscilla a 21 600 alternanze l’ora, la carica manuale garantisce circa quarantacinque ore di autonomia e, soprattutto, alimenta l’energia necessaria al salto simultaneo di indici e disco giorno/notte, un evento che avviene quattro volte per ogni ciclo di ventiquattro ore.

La percezione del tempo cambia radicalmente: tra le due e le tre del mattino la lancetta scorre in un paesaggio di cifre comprese fra 12 e 5 illuminate dallo stesso lume della luna, ma appena le lancette raggiungono le sei, la scala ruota e rivela le ore 6‑11, segnando l’inizio del mattino. Verso mezzogiorno riappaiono 12‑5, immerse nella luce del giorno; alla sera tornano 6‑11, avvolte dal calore di un tramonto. È un modo di vivere l’orologio che riporta alla memoria le meridiane contadine russe, dove le ore venivano nominate secondo le fasi del cielo anziché con numeri rigidi. Chaykin reinterpreta quella tradizione e la traduce in meccanica fine: 482 componenti, 28 rubini, un diametro di 31 millimetri per un’altezza di 6,2, un assemblaggio che segue i canoni dell’alta orologeria — smussi lucidati, perlage, lucidature a specchio, angoli interni tirati con la pietra d’ardesia.
Indossarlo significa accettare una piccola rivoluzione: guardare l’ora e capire a colpo d’occhio quale frammento di giornata si sta vivendo, perché il quadrante non permette distrazioni. In mattinata il sei appare in una finestrella contornata d’oro; dopo un salto sincronizzato il mezzodì scivola nella stessa apertura, ma sotto la didascalia day. È un invito implicito a vivere in sintonia con la luce, a percepire il giorno non come una linea continua ma come quattro atti di un’unica sinfonia.

Chi ammira la produzione di Konstantin Chaykin conosce già la sua inclinazione a raccontare storie con lancette e complicazioni — dal Joker al Time Eater. Il Quartime è forse il più poetico dei suoi racconti, perché parla un linguaggio universale: quello del passaggio lento dall’alba alla notte, scandito da un congegno che non smette di sorprendere anche dopo il millesimo sguardo.
